Instant CSR

Opportunismo o impegno reale? Il “fattore Trump” nella comunicazione della responsabilità sociale.

Da quando il nuovo Presidente degli Stati Uniti è stato eletto non passa giorno senza che le sue mosse politiche facciano parlare i media. Sono azioni che fanno discutere e che indubbiamente suscitano reazioni decise, pro o contro: difficile restare indifferenti alle posizioni di Trump. Il refugee ban, per – testualmente – “proteggere la nazione dall’ingresso di terroristi stranieri” è l’atto che (finora) ha sconvolto maggiormente l’opinione pubblica. Forti le proteste e grandi le manifestazioni contro il divieto d’ingresso temporaneo per i cittadini di alcuni Stati a maggioranza musulmana.

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Proprio in seguito al #muslimban, non solo persone comuni, ma anche molte aziende hanno deciso di esporsi e di esprimere i loro punti di vista, in modo diretto o più sfumato, contro il divieto.

Il social network più amato e utilizzato da Trump stesso – Twitter –  ci tiene a ribadire che:

Howard Schultz, il fondatore Startbucks, con una lettera sul blog aziendale esprime grande preoccupazione per il nuovo divieto alle frontiere e lancia il messaggio per 10 mila nuove assunzioni in particolare di rifugiati.

Non manca la reazione di Facebook, direttamente dall’account di Mark Zuckerberg:

e di altre aziende leader della new economy che su globalizzazione e frontiere aperte hanno basato il loro business e sono diventate importanti multinazionali:

il CEO di Google, Sundar Pichai, indiano trapiantato negli USA

e UBER, che si è trovato anche al centro di una crisi sui social network in polemica con il sindacato dei tassisti prima e con il suo competitor, dopo.

Sono solo alcuni esempi delle molte manifestazioni di disapprovazione verso il #muslimban.

Ma ci sono o ci fanno?

Si tratta di “reazioni strumentali”, che possiamo chiamare di “instant CSR”, cioè lo sfruttamento di una opinione diffusa, molta esposta mediaticamente e politically correct che intercetta un sentimento comune?

Oppure sono la normale conseguenza di una strategia di responsabilità sociale aziendale che già esisteva prima?

Il caso Airbnb

Fra le aziende che si sono esposte in questi giorni c’è anche Airbnb, il noto servizio di alloggi in affitto in tutto il mondo. Airbnb ha lanciato la campagna #weaccept (https://www.airbnb.it/weaccept) “un piano quinquennale per fare in modo che 100.000 persone abbiano accesso a degli alloggi a breve termine durante i periodi di difficoltà”.

Un impegno che è preesistente al “momento Trump” e ne è indipendente in una vera logica di strategia CSR ma che prontamente coglie l’occasione per sensibilizzare e rimarcare i valori di inclusione e accoglienza – attraverso direct marketing, mailing, social media, sito web – verso chi è in difficoltà o viene discriminato, in un periodo storico in cui questi stessi valori vengono messi a rischio.

Non è un caso che il video della campagna in 2 giorni abbia ottenuto oltre 3 milioni di visualizzazioni su YouTube…

Il metodo giusto dunque sembra essere questo:

  1. avere un piano di CSR strutturato e attivo, “già prima” della comparsa del Trump della situazione
  2. saper cogliere l’occasione dell’attualità per declinare l’impegno esistente

Altrimenti, il rischio è di inimicarsi i pro-Trump, e di apparire un poco opportunisti a tutti gli altri.